Sulle pendici del monte Leoni, ho inaugurato il restauro “filologico” della mia vespa primavera 125. Quando l’ho ritirata dall’officina avevo rammentato che non l’avrei trattata come un pezzo da museo. E infatti eccomi un paio di giorni dopo inerpicarmi tra le sassaie di questo monte, nei dintorni di Montorsaio.

Una giornata di maggio, quella più piovosa dell’anno più nuvoloso che ricordi. Arrampicato quass๠ho trovato il monastero della Nave. Un complesso di edifici medioevali con una prua di muraglioni che si affacciano su una foresta, che con questa pioggia sembra quasi tropicale. Dicono che fu abbandonato dai frati per questioni controverse nel 1751 e divenne una grande fattoria.

Oggi è una desolata proprietà  privata, di qualcuno che sembra abitarci da solo; senza corrente elettrica, per quanto mi è dato di capire vedendo un minuscolo orticello fresco di zappetto e ampio appena quanto un passo. L’antico chiostro quasi irriconoscibile adibito a spontaneo vivaio naturale.

Travi grandi e antichi come alberi di un galeone, attraversano i solai incurvati, sembrano la spina dorsale di una grande creatura distesa. Dietro i portoni rotoli di nylon sono evidentemente li per rattoppare i buchi di questa grande carena, un po’ come cercare di tenere a galla una barca con lo scotch.
Tra passaggi diroccati e muraglioni di antica possenza ormai in rovina, una manciata di locali si distinguono: abbastanza ben consolidati, chi li ha ristrutturati per poterci trascorrere del tempo, ha avuto la sensibilità  di evitare le persiane, incastonando vetri spessi e talmente puliti da dare l’impressione a distanza, di un piano abbandonato come gli altri.

Della chiesa si possono vedere solamente i muri perimetrali. All’inizio del quattordicesimo secolo, leggo che qui trovarono riparo i frati fuggiaschi seguaci delle idee di fra Dolcino. Provenienti dalla Francia, accusati di eresia, vennero in seguito cacciati dal beato Tommaso di Scarlino e braccati dalla popolazione locale.
Nel quindicesimo secolo passò ai frati minori osservanti che vi trascorsero molto tempo. Abbastanza comunque da far diffondere svariate dicerie secondo le quali erano soliti accogliere donne nel monastero. Per questa ragione pare ne fu disposta la cessazione.

Quando dal piazzale erboso che si appoggia sulla collina si percorre il fianco di quella murata che si affaccia sul verde come fosse un mare (da qui presumo che sia nato il soprannome “la nave”), si giunge fino ad una prua di pietra che si lancia nel bosco. Un enorme leccio è cresciuto appoggiandosi alle mura e slanciandosi dallo spigolo come fosse un albero di bompresso con issata una verde enorme vela spiegata.

Lo vedete nello scatto che ho riportato.