Interessarsi alla politica è un pò come una malattia che ti allontana dalla giovinezza. Se cominci un minimo ad interessarti alla politica – quella mediatica perché ormai è solo spettacolo – significa che stai diventando troppo grande. Una malattia inutile che da spensierato spettatore di cartoni animati e frequentatore di concerti degli Skiantos, ti trasforma in passivo spettatore di dibattiti televisivi.
Quale inutile attività . Dedicare del tempo ai comizi televisivi per capire chi ti rappresenta, o per trovare conferme sulle tue ideologie è assolutamente inutile. Pura informazione di intrattenimento che però annoia. La curiosità dell’evento politico sulla prima pagina del giornale serve solo come distrazione, insieme al caffè e alle sigarette sul tavolo del bar. L’ipocrisia della politica supera ormai ogni confine. Nel teatro della politica si può dire tutto e il contrario di tutto.
Basta porre un contrasto, a qualsiasi argomento, anche il più limpido e naturale. Per sollevare l’ombra del dubbio anche sulle certezze o i bisogni veri. Il peggior fenomeno è quello di regolarsi adottando il pensiero moderato. La soluzione media, quella che ti fa credere che la verità sta nel mezzo, è assolutamente improduttiva. Se qualcuno fa qualcosa nella direzione giusta, basta sollevare la tesi del catastrofismo e ammonire l’armageddon economico. E viceversa. Il metro personale di ognuno di noi per ponderare gli eventi politici dell’attualità viene alterato dagli ammonimenti catastrofici e le nostre considerazioni risultano alterate e viziate da uno squilibrio di elementi nell’informazione. E’ come quando in meteorologia si annunciano temperature sopra o sotto la media della stagione: non significa quasi niente. La media non è una misura reale è un’interpolazione. Nell’informazione diventa manipolazione. Una lotta a chi spara la strumentalizzazione più grossa.
La scelta mediana mette in dubbio la quiete e la catastrofe, il paradiso e l’inferno, la merda e la cioccolata. Il risultato è che la guerra politica diviene aspra e senza fine, i meccanismi della democrazia e dell’economia si inceppano. L’intorpidito sintomo di questa situazione è un risultato elettorale senza vinti ne vincitori, dove il dubbio si amplifica e il potere spettacolare dei catastrofismi aumenta.
Mettere in dubbio l’olocausto è un esempio di strategia del contrario. Nessuno certo sentirà il coraggio di sbandierare troppo questa tesi. Ma l’innesco del dubbio scatta. E forse qualcuno potrà anche essere minimamente sfiorato dal dubbio che non fu una cosa poi così grave. E’ il pensiero del <<Se qualcuno ha il coraggio di sostenere una tesi così ardita e contraria daltronde qualcosa di vero deve esserci.>>
Sollevare la cortina dello spettacolarismo e dell’esagerazione è l’ultima arma di chi non ha niente più da giocare. La catastrofe è divenuta un testimonial perfetto dei politici: quando la si evoca tutti le credono. E chi non è daccordo. << Sentito ? Andremo alla catastrofe. Facciamo qualcosa per evitarlo, anche a scapito della salvezza. >> E’ una nebbia dalla quale è difficile distinguere le conclusioni oggettive e pertinenti.