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DanSky in
Cronache
Questa estate rovente coincide con la quarta volta che mi ritrovo in questa regione della russia che mi affascina per le tre cose per cui l’ex unione sovietica non è famosa: il verde e la natura incontaminata, la vita rurale, la proprietà privata.
Fuori dalle grandi metropoli sudice tra cemento e smog, i russi non smettono di amare la vita rurale del loro passato precedente all’industrializzazione. Ai margini di una natura incontaminata immerse in boschi di conifere e betulle e accarezzate dalle anse di grandi fiumi, nelle case di legno i Russi vivono ancora per necessità o per scelta, una vita amena e a contatto con la natura.
Dalle baracche sui bordi delle strade alle lussuose dacie le case non perdono mai di dignità mostrando gli sforzi annuali delle famiglie nell’abbellire e rinforzare di anno in anno le loro proprietà . Tanto sognate che le riviste di televisione mostrano le izbe che anche i personaggi famosi possiedono in qualche angolo di Russia, residenze che sono per quasi tutte le tasche e che però diventano, per i più poveri, l’unico tetto dell’inverno.
Il mio viaggio fuori dalla metropoli dell’acciaio e delle auto, seconda città della Russia è cominciato dalla mashrutka, un pulmino di ferraglie che porta lontano a nord verso il fiume Vetluga tra acque
pulite, boschi e un cielo terzo lontano dalle cappe di monossido di carbonio che stazionano sulle città . Al caldo e all’inquinamento soffocante si sono aggiunti i densi fumi provenienti dagli incendi delle torbiere che stanno devastando il sud ovest di Nizhny Novgorod e il sud est di Mosca.
A bordo del pulmino ci sono soprattutto donne, vecchi, cani e gatti; le persone che partono stanno fuori a volte anche delle settimane ed è normale portarsi animali domestici, stoviglie e suppellettili. Le case lontano dalla città vengono svuotate ad ogni stagione ed ogni ritorno è un nuovo piccolo trasloco. Alcune destinazioni portano in luoghi remoti collegati a malapena dalle strade e situati presso laghi ed anse dei fiumi anche ad ore di viaggio dalla città .
Dopo 3 ore su strade con scarso traffico ma frequentate da camion dalle marce spericolate, la mashrutka scarica gli ultimi passeggeri sul piazzale della stazione. Da qui si spargono verso altri pulmini o a piedi per gli ultimi chilometri che li separa da casa. Giungo nel villaggio di Makari a piedi dalla sua entrata a sud, una strada sterrata che esce da un bosco, scavalca un torrente su un ponticello realizzato con un grosso anello di cemento ed entra su una salita che mostra dietro la vegetazione le cinque torrette che reggevano le cupole a cipolla di una chiesa. Una strada rimasta indietro sul mio percorso porta al porticciolo fluviale, una spiaggia di sabbia bianca sulla confluenza del torrente col fiume dove gli abitanti tengono incatenate una ventina di imbarcazioni a remi.
Ai bordi di strade non asfaltate sorgono le case, tradizionalmente realizzate con la solidità di tronchi interi impilati uno sull’altro fino all’altezza della parete, incrociati sugli angoli tramite incastri e senza uso dei chiodi che un tempo erano costosi e destinati comunque alla ruggine. Sono grezze sulle pareti e decoratissime intorno ai confini delle finestre. Ricchissimi sono i trafori che circondano i doppi infissi, tra motivi floreali, palmette, figure antropomorfe, tutte diverse e realizzate a mano.
Durante la mia visita capita spesso di rimanere abbagliati dai riflessi di rame sulle lastre dei tetti, la tecnica antica per foderare ed isolare le case dalle intemperie e facilitare lo scioglimento e lo scivolamento delle nevi invernali. Sfortunatamente l’introduzione relativamente recente del fibrocemento (noto come eternit) a partire dagli anni’50 ha trasformato la Russia nel più grande deposito di questo materiale, notoriamente tossico e cancerogeno, un problema col quale i russi si troveranno prima o poi a dover far fronte. Se si dovesse eliminare il pericoloso materiale da un giorno all’altro, 6 russi su 10 si ritroverebbero letteralmente “senza tetto”.
Le case più antiche continuano a brillare di rame quando il sole lambisce i loro tetti. Un materiale che identifica le case vecchie dei più ricchi perché è sempre stato molto costoso. In questo villaggio lo possiedono alcune abitazioni, una grande scuola media a due piani e il piccolo laboratorio medico.
Quello che sorprende è che anche se costruite nei più remoti angoli o in luoghi modesti, la cura dei dettagli e le rifiniture in legno sono finissimi. Non hanno fondamenta solide, sono erette direttamente sulla terra e adeguandosi ai movimenti del terreno instabile somigliano spesso a delle navi inclinate. L’alternanza di inverni zuppi ed estati secche fa si che le travi si incurvino e tutta la casa si inclini muovendo con se le assi di rivestimento, piegando gli infissi,
incurvando i trafori sotto alle grondaie, adeguandosi alla terra e al tempo come un essere vivente.
Quando tra i vetri e le tendine si intravede una piantina di aloe vera è segno che nonostante le precarie condizioni l’abitazione è ancora abitata; e non è raro che segni di quotidianità traspaiano dalle finestre curve di una casa con i pavimenti così inclinati da far rotolare le bottiglie che cadono dal tavolo. In realtà queste strutture anche se provate dal tempo vengono continuamente mantenute, saldando le fessure con i muschi, rappezzando i tetti, ripristinando pannelli isolanti e controsoffitti e sono così solide da non crollare quasi mai; la loro fine è invece causata dai frequenti incendi, come questi tragici dell’estate 2010.
All’interno sono pronte a svelare arredi complessi, stanze con carte da parati, controsoffitti, scalette per il piano sottotetto, uno o più caminetti circondati da panche, di solito disposti al centro della
casa. L’elettricità è erogata da una rete aerea confusa come una ragnatela sostenuta da pali in legno con coppe ancora di porcellana e allacci precari talvolta abusivi. I bagni sono esterni alle abitazioni, in piccoli capanni a vista dalla porta di casa, tra steccati, serre e montagne di legna secca accatastata per l’inverno. Dentro nessun water ma una unica profonda buca coperta da tavole con un buco nel mezzo.
Le cornici elaborate intorno agli infissi sono spesso colorate e la loro ricchezza è come se straboccasse la vivacità e il calore degli ambienti interni verso l’esterno, intorno al confine della finestra come un orlo ricamato. Quel confine è così importante perché definisce la separazione tra la familiarità , il calore domestico e l’esterno, talvolta ostile nei mesi invernali. Tanto più la finestra è bella e rifinita, tanto più alta è l’ostentazione e la promessa di una abitazione all’interno confortevole e accogliente. Sono infatti i capanni da lavoro, i bagni o i garage a non avere alcuna decorazione.
Ogni più piccolo villaggio si sviluppa sui bordi di una strada, molto spesso senza asfalto ed erbosa come il sentiero di un campo. Nei nuclei più organizzati, di tanto in tanto le strade sono scavalcate da contorti serpi di ferro, una rete non interrata di tubi che fa circolare un flusso continuo di acqua bollente necessaria in inverno al riscaldamento delle strutture pubbliche. Ai confini si erigono torri rugginose per la raccolta dell’ acqua e che talvolta in occasioni delle canicola vengono manomesse sulla sommità col risultato di creare lunghi baffi d’acqua in grado di rinfrescare i metri sottostanti. Per le strade circolano polli, anatre e capre. I bambini vanno a scuola la mattina in asili molto spesso al di là della strada e nel pomeriggio quelli più grandi aiutano a tagliare la legna. I ruderi di una chiesa sono il segno che il villaggio è vecchio almeno 100 anni, precedente cioè alla nascita dell’ Unione sovietica del 1917.
Per chi si reca in queste residenze è normale abbandonare le comodità della città . Un prezzo che però molti sono disposti a pagare per recuperare il contatto con la natura. Nella grande terra russia dove non c’è stato il boom economico non tutte le comodità domestiche sono date per scontate. E sarà per questo motivo che il modo di vivere ereditato dalle comunità rurali contadine è ancora vivo e forte, una quotidianità ricca di rituali familiari e povera di una cultura gastronomica in passato tramandata dalle donne e distrutta quando esse stesse dovevano obbligatoriamente contribuire alla produzione agricola ed industriale sovietica.
Il mio ritorno nel grande distretto industriale di Nizhny Novgorod, dove si produce tutt’ora la famosa automobile Lada, gloria dell’industria automobilistica russa, non fa dimenticare le vite immerse nel legno dei villaggi.
Basta una passeggiata nel centro della città per ritrovare architetture non troppo diverse dalle izbe di campagna. In un enorme paese dove il legno non è mai mancato ed è la materia prima dell’artigianato tipico tradizionale, nel passato tutte le strutture urbane erano costruite in legno fatta eccezione per le fortezze (kremlini) e le chiese; che sono infatti le uniche eredità architettoniche davvero antiche giunte fino ad oggi. Nelle grandi città sopravvivono interi quartieri di vecchie abitazioni realizzate completamente in legno e con un uso praticamente assente di mattoni e calce. Anche se queste strutture non guadagnano l’eternità come i fori romani, hanno una vita incredibilmente longeva, risalenti agli inizi dell’ottocento e anche precedenti. Spesso immerse nel verde delle betulle, hanno un grande valore artistico e storico. Una sorta di antiquariato urbano, come mobili di pregio a cielo aperto, bauli cesellati che contengono al loro interno arte, storia e tradizioni di questa terra. Patrimoni che portano dal passato una fotografia di stili di vita in via di estinzione sopravvivono vicino al traffico sommersi dai pannelli di gigantesche insegne e da una affissione pubblicitaria selvaggia.
Questi quartieri sorgono spesso su terreni ad alto valore, talvolta in pieno centro e vengono rasi al suolo per far posto a negozi e centri commerciali. Uno sviluppo non omogeneo a macchia di leopardo vede spuntare enormi grattaceli condominiali di mattoni, cemento e vetro accanto alle case in legno ottocentesche che continuano a mostrare le piantine di aloe vera dietro ai vetri. Gli inquilini dei moderni condomini, usufruiscono di maggiori comodità nelle loro abitazioni cittadine ma non smettono di sognare le izbe in legno della campagna.
Se è vero che la Russia dell’ultimo secolo viene idealmente associata dal resto del mondo al freddo del ferro e dell’acciaio, in realtà è sempre stata e lo è sempre, un paese di legno con un cuore caldo. Gli enormi condomini di cemento dell’era Breznev sono solo mostri recenti rispetto alla tradizione. Le matrioshke lo ricordano, dentro i russi sono fatti di legno e le loro case sono più calde che in qualsiasi altro paese.
Il legno nell’ingegneria civile è stato un materiale talmente importante da nascondersi anche sotto le facciate degli edifici che a prima vista sembrano di solidi mattoni: molte delle strutture di fine ottocento e dei primi del ‘900 nascondono sotto l’intonaco delle loro forme neo-classicheggianti scheletri di legno. Colonne, cornicioni, lesene, frontoni sono intonacati sopra un fasciame intrecciato di fibre legnose con la doppia funzione di elemento decorativo e isolante.
Anche se le grandi città stanno distruggendo questi patrimoni, è nelle campagne che la russia è e resterà di legno. Conservano una natura incontaminata e assolutamente inedita rispetto ai pregiudizi storici e culturali di questo paese.