planimetria1g.jpg planimetria2g.jpgCome al solito la televisione denuncia un caldo straordinario. A me sembrano dei comunissimi 33 gradi all’ombra. Una normalissima arsura che ha in realtà  tardato ad arrivare quest’anno. Qualche giorno fa ho scritto un articolo sul Monte Argentario, lo voglio di seguito pubblicare integrandolo con qualche racconto personale (cliccate sotto su “more”).
Tornando in merito all’eremo di Malavalle raccontato da Elisa, voglio qui allegare la foto del cartello che si trova una volta giunti alle rovine. Quando non si ha voglia di leggere le indicazioni turistiche sul posto (mai farlo, cercate di documentarvi prima !) non c’è niente di meglio che sprecare un primo piano sull’insegna e rileggere con comodo a casa !

pianta eremo di malavalle

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Il Monte Argentario brilla come le monete d’argento. Gli “argentarii” erano per gli antichi romani coloro che per professione prestavano denaro. É grazie al credito di guerra emesso durante le guerre puniche, che la famiglia degli Enobarbi Domizi ricevette per saldo il promontorio tra Talamone e Capalbio e che da allora porta il nome del loro servizio alla Repubblica di Roma.
Una proprietà  di grande valore strategico, il Monte Argentario è una vedetta nel cuore del mar Tirreno. La sua localizzazione geografica ha reso questa antica isola à¢Â€Â“ ora collegata dalle spiagge della Feniglia e Giannella – un avamposto fin dall’età del bronzo. Dai tempi dei primi navigatori le insenature dell’Argentario hanno sempre offerto rifugio e protezione, ma i primi insediamenti risalgono alla notte dei tempi: prima ancora dei porti fortificati che fecero la potenza spagnola dello stato dei presidi, il monte era abitato nelle sue grotte. Sono almeno 19 le spelonche preistoriche in cui sono stati rinvenuti numerosi reperti. Tra le piàƒÂ¹ grandi, oltre quella di “cala dei Santi”, c’è la “grotta degli stretti” che si trova di fronte al tombolo artificiale di Orbetello e si inoltra sotto la montagna per un chilometro. Dentro c’è anche un lago.
Mio padre, che da bambino abitava con la sua famiglia ad Orbetello, mi racconta spesso di quando si inoltrava dentro queste gallerie spesso anche nelle miniere spagnole. Un giorno successe un crollo ed un suo amichetto rimase sepolto di sabbia e pietre fino al busto – per poco non ci rimaneva – dice.
Scovando sul web qualche descrizione ho potuto ricollegare la grotta della quale mi raccontava, localizzandola proprio con quella “del Granduca”, così chiamata da quando il Leopoldo II decise di visitarla personalmente.

Gli Etruschi, che effettuavano con queste zone numerosi scambi commerciali dalla città di Cosa pare che avessero coniato il nome del porticciolo di Porto Ercole. Nelle vicinanze di Cala Galera infatti è stata rinvenuta una necropoli dedicata al 13à‚° settore dello zodiaco etrusco, per l’appunto la costellazione di Ercole.
Le alte coste rocciose a picco sul mare e cosparse di macchia mediterranea, sono l’habitat di una particolare specie spontanea di palma nana. E sui faticosi terrazzamenti a picco sul mare vengono cresciuti i rari vitigni Ansonico e Riminese.
Sono tanti i resti delle torri di vedetta senesi incastonate tra le scogliere e valide sentinelle contro gli invasori, ma lo sviluppo piàƒÂ¹ importante del Monte Argentario di cui ancora si assaporano gli stili e le atmosfere è stato quello spagnolo, iniziato con il trattato tra Filippo II e lo stato di Piombino. Ancora oggi le imponenti e spigolose fortezze come quelle di forte Stella, di Santo Stefano, forte Filippo, torre di Lividonia, lasciano intuire il potere bellico e la ricchezza di questo luogo. L’insediamento di porto Santo Stefano e il caratteristico borgo intorno alla rocca furono costruiti durante il governatorato di Gilles Nunez Orejon e nel XVIII secolo, affascinati dal luogo e dalla ricchezza di pesce, vi si stabilirono molte famiglie di pescatori liguri e napoletani che hanno fondato le origini della attuale comunità  locale.

Vi segnalo questa pagina web dedicata alla grotta del Granduca, dalla quale ho preso in prestito le due mappe dei cunicoli. Pare che in una delle sale ci sia una stalagmite dalla forma umana, chiamata “Garibaldi”. Prometto che presto andrò personalmente a visitarle e fare qualche scatto.